Oggi siamo a Roma. Abbiamo deciso di esserci e di aderire (LEGGI il pdf dell’adesione) come Comitato insieme ad altri comitati snoq della rete regionale, su una posizione differente rispetto a quella del Comitato promotore, perché pensiamo che sia dalla compenetrazione di lotte differenti che si stabiliscono i presupposti per una forte consapevolezza e cambiamento sociale e vediamo in questo senso la contaminazione con una politica di genere, femminista, delle rivendicazione del coordinamento del 15 ottobre.
Siamo convint* che esista un’alternativa a questo sistema e lo vogliamo dire forte in piazza, in tutte le 951 piazze, come lo diciamo nei nostri equilibrismi quotidiani mentre cerchiamo di non annichilirci in una crisi che rende precaria l’esistenza tout-court.
Da un lato i tagli alla spesa pubblica, le contrazioni dei diritti, la privatizzazione dei servizi e dei beni, un clima di austerità imposta, dove l’ammortizzatore sociale che rimane sono donne e uomini stess*, usat* come molle per assorbire gli urti di un mercato fluttuante, dall’altro una insidiosa precarietà che si ripropone nella ricattabilità cui siamo sottopost* come soggetti sfruttati e che ci norma continuamente, traslandosi dal lavoro alla vita extralavorativa perché il ricatto è esportabile, e che è un ostacolo esterno e ad un certo punto interiorizzato nel trattenere spazi di libera espressione della nostra individualità e differenza, che è maggiore per i soggetti socialmente più deboli in una società sessista, omofoba e razzista quale è quella in cui viviamo: le donne, le ed i migranti, i e le LGBTQI, i e le sex-workers.
Siamo costrett* in ritmi di vita che assumono la velocità di catene di produzione e viviamo male in un sistema dove arrivare alla fine di ogni giorno è una sottrazione, di energie e risorse prima ancora che della qualità del vivere. Siamo inquinat* dalla competitività -che è la base del sistema economico e lavorativo attuale e condiziona in modo trasversale le nostre relazioni con rancori, invidie e gelosie- e dalla frustrazione, perché il bagaglio culturale e professionale che ci siamo costruit* è inutile o addirittura ingombrante per i lavori che non sono pertinenti alle nostre professionalità, mentre sono apprezzati ma gratuiti negli stage che ci “offrono” con una generosità stucchevole, come se fosse un privilegio quello di svendere la propria preparazione.
E’ una vita instabile, perché diventa arduo- se non impossibile- pianificare tempi medi, all’insegna di un programmare alla giornata che non abbiamo scelto, perché del futuro l’unica certezza è l’ansia di riuscire gestire tutto, di non ammalarsi, di prendersi cura degli affetti in assenza di una rete che garantisca mutualità e assistenza e che ha una portata transgenerazionale perché colpisce tanto le ed i giovani quanto le e gli anziani e donne e uomini di mezza età, che escono da una vita lavorativa per rientrarne a pieno titolo con il lavoro di cura e mantenimento. Carico di lavoro che sono più frequentemente le donne a sobbarcarsi, donne pensionate e migranti.
Nonostante tutto questo, riusciamo a ritagliare spazi di pensiero autonomo che ci permettono un’elaborazione collettiva di un modello altro e un percorso di uscita dalla crisi, perché siamo protagonist* del cambiamento e lo siamo ogni giorno, con ogni metro di diritto e di visibilità conquistato e difeso a fatica: una realtà di fatto che sopravvive e- nella sua stessa lotta per non scomparire, per difendere la libertà ed il meticciamento di quello spazio liberato- afferma che questa è la crisi di un sistema che vogliamo cambiare unit* su scala globale.
Let’s rise up!