Il ‘Comitato Donne 13 febbraio_ Pisa’ esprime forte preoccupazione sul coinvolgimento militare delle forze Nato (con alcune rilevanti eccezioni) nella situazione libica e invita tutta la città, il suo forte tessuto democratico, le associazioni, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le chiese locali, le donne e gli uomini a discutere collettivamente e a non dare per scontata l’apertura, sulle sponde del Mediterraneo, di un ennesimo fronte di guerra.
Se è vero infatti che la grave preoccupazione era già esistente e riguardava la guerra civile che attraversa la Libia dall’11 febbraio, con la risposta irresponsabile e feroce di Gheddafi all’insurrezione, risposta che ha assunto i caratteri di un vero e proprio massacro, se è vero inoltre che l’intervento, dapprima francese, poi Usa e Gb e infine italiano si è mosso in seguito alla risoluzione Onu 1973/2011 che “autorizza gli stati membri… a prendere tutte le misure necessarie… a proteggere i civili e le aree popolate da civili sotto minaccia di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia, compresa Bengasi, escludendo l’ingresso di una forza di occupazione straniera in qualsiasi forma e in qualsiasi parte del territorio libico”, è altrettanto vero che la cornice di “legalità” internazionale con cui si normalizza questa guerra aerea senza limiti non è certo sufficiente né a tacitare i fondati timori che l’innesco dell’intervento militare non sia controllabile quanto a esiti, costi di vite umane, natura e dimensioni, né, tantomeno , il dissenso che verte sul fatto che, ancora una volta, la strada dei bombardamenti appare ridurre drasticamente la prospettiva auspicabile di una larga trattativa diplomatica internazionale, prospettiva ormai archiviata con l’annunciata assunzione del comando politico e militare delle opeazioni da parte della NATO. Il vescovo di Tripoli monsignor Martinelli si è chiesto se non si sia intrapresa la via militare “troppo in fretta”, e afferma che precipitandosi ad usare la violenza si è dato il via ad un gioco sbagliato. Mentre Francia, Gran Bretagna, Italia, Olanda e Spagna bombardano, l’esodo di massa dei profughi verso i paesi vicini avviene sull’onda della disperazione senza trovare l’argine e il sostegno di forze capaci di diplomazia e mediazione. E si allarga il numero e il peso strategico dei paesi contrari all’intervento armato: fin dall’inizio Cina, Russia e Germania hanno espresso chiaramente il loro dissenso. La preoccupazione è che la crisi si attorcigli in una guerra lunga ove le finalità “umanitarie”, la salvaguardia della vita della popolazione, secondo il testo della risoluzione dell’Onu, finiscano in fondo alla fila di interessi molteplici e non sempre chiari.
E ancora oggi, come ha scritto la Tavola della pace, in un comunicato che condividiamo totalmente, “mentre si interviene in Libia non si dice e non si fa nulla per fermare la sanguinosa repressione delle manifestazioni in Baharein, nello Yemen e negli altri paesi del Golfo. L’Italia e l’Europa, prima di ogni altro paese e istituzione, devono mobilitare ogni risorsa disponibile a sostegno di chi si batte per la libertà e la democrazia”.
Crediamo che una sola sia la strada che l’Italia deve percorrere: fermare l’escalation della guerra, ridare la parola alla politica, promuovere il negoziato a tutti i livelli per trovare una soluzione pacifica e sostenibile.
Evitare la possibilità di nuove stragi di civili come è avvenuto in Iraq e in Afghanistan, come abbiamo visto nei Balcani. Abbiamo una serie infinita di prove dell’ enorme menzogna che spaccia le guerre per interventi umanitari. L’Italia non deve ripetere, a cent’anni dall’aggressione colonialista, un attacco militare a un paese nel quale ha provocato a suo tempo la morte di 100mila persone, un ottavo della popolazione libica. Per la memoria, dobbiamo dire di no. E per il presente: quale triste epilogo sarebbe, nella repressione e nel sangue, per le primavere nel mondo arabo?
Citiamo ancora la Tavola della Pace per chiedere che l’Italia diventi “il crocevia dell’impegno europeo e internazionale per la pace e la sicurezza umana nel Mediterraneo. Per questo l’Italia non doveva e non deve bombardare. Per questo deve cambiare strada. Subito”.
Pisa, 25 marzo 2011