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La Cassazione, lo stupro di gruppo e il ruolo dei media

Un collage di post che riguardano la sentenza della Corte di Cassazione n. 4377/12, in cui si parla di misure cautelari in caso di stupro di gruppo, di come questa sentenza è stata comunicata dai media nazionali e della reazione che ha scatenato sul web.

Buona lettura!

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Da AUT*AUT

Leggendo i commenti, gli articoli, dopo la diffusione della sentenza n 4377/12 della terza sezione penale della Corte di Cassazione, come donna mi sono sentita in dover esprimere un parere, un’opinione, politica.
Prima di far questo però come persona che queste cose (le sentenze)le studia proverò a fare un po’ di chiarezza sull’accaduto, non per spiegare qualcosa a qualcuno che non ritengo in grado di capire, come molti autori degli articoli e dei commenti sembra abbiano voluto fare, ma perché credo fortemente nella condivisione del sapere come forma di lotta, e perché credo che divincolarsi tra i cavilli giuridici non sia cosa facile per nessuno.

Proviamo a fare un passo indietro rispetto alla pronuncia della Cassazione. In primis l’ambito di intervento della sentenza è quello delle misure cautelari e non delle sanzioni. Vale a dire quelle misure che vengono adottate prima che via sia stata una pronuncia nei confronti dell’indagato e qualora ricorrano oltre ai gravi indizi di colpevolezza alternativamente pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e pericolo di reiterazione del reato(ex art 274cpp). Cioè siamo a dire che si corre il rischio di essere sbattuti dentro prima che il processo sia cominciato (vedi i recenti casi degli arrestati per i fatti della Val di Susa).

Peraltro, quella della carcerazione è solo una delle misure che il codice prevede. Si potrebbe discutere dell’ammissibilità o della legittimità di un tale sistema in relazione alle garanzie della libertà personale, ma non è questo l’argomento del dibattito, il sistema vigente è quello delineato. Ora, in questo quadro un ruolo fondamentale è quello del giudice, infatti le misure cautelari non scattano automaticamente, bensì sarà un magistrato a valutare le necessità o meno dell’applicazione della misura, e a scegliere la misura che più ritiene adeguata, nel fare questa scelta non è però del tutto libero bensì vincolato dal principio per cui “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata.”(ex art 275 3c cpp).

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Da Lipperatura

Non è questione di indicare la luna e di guardare il dito. E’ che dito e luna, come direbbe Alejandro Jodorowsky, appartengono a due mondi diversi. In questo caso, allo stesso mondo, guardato da due diversi punti di vista. Non è una storia zen, è una storia di informazione, di media e di spiazzamenti.
I fatti, per cominciare. Venerdì scorso tutti i quotidiani riportano la notizia della sentenza della Corte di Cassazione. Le prime tre righe della notizia sono: “nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo, il giudice non è più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell’indagato, ma può applicare misure cautelari alternative”.
Sempre venerdì pomeriggio, interviene a Fahrenheit Barbara Spinelli, che spiega con chiarezza come vada interpretata quella sentenza (in parole davvero povere – le mie, in questo caso – rimanda al giudice la decisione). Nel frattempo, però, sui social network, Facebook in primo luogo, dilaga il passaparola: a protestare sono gruppi di donne e organizzazioni femministe, e anche singole e singoli. Di bacheca in bacheca, la notizia si ingigantisce e si arriva a parlare di  stupro depenalizzato e fioriscono avatar listati a lutto per la messa in libertà dei violentatori.
Ebbene. Nei due post più linkati nelle ore successive, quello di Federica Sgaggio e quello di julienews, si rettifica la notizia così come aveva fatto Barbara Spinelli. Ma mentre Barbara ha giustamente ricordato che questo non solo non diminuisce di un’oncia la gravità della situazione italiana per quanto riguarda stupro e violenza (la conseguenza è che la battaglia, tutta culturale, deve riguardare quei giudici che sono chiamati a decidere), da quei due post (e da molti altri) si ricava la sensazione – più o meno esplicita – che  a essere messe sotto accusa siano soprattutto le donne. Coloro che hanno male interpretato la notizia nei loro comunicati ufficiali (Se Non Ora Quando), le singole ragazze e non che hanno protestato nei loro profili.
Dunque: a essere in difetto non sono gli organi di informazione che hanno come proprio dovere e ragion d’essere la correttezza della medesima, bensì i lettori e le lettrici che non sono capaci di approfondire le notizie fornite e informarsi a loro volta, divenendo essi stessi generatori di informazione. E’, grossomodo, lo stesso atteggiamento del sindaco Alemanno che a fronte dell’assenza di contromisure alla neve caduta venerdì, accusava i romani di non aver messo le catene.

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Da Femminicidio, di Barbara Spinelli

Sono un’avvocata e sono una femminista. E sono indignata.
No, non per la famigerata sentenza della Cassazione, ma per come è stata raccontata dai media e commentata da esperti, politici e per le reazioni del movimento femminista stesso.
La disinformazione regna sovrana, circa l’effettivo significato ed il contenuto della sentenza.
Il populismo è il modo più semplice per raccogliere consensi cavalcando la disinformazione.
Il perché della mia voce fuori dal coro, ho cercato brevemente di spiegarlo nella puntata di Fahrenheit di venerdi’. E ringrazio di cuore Loredana Lipperini per avermi dato la possibilità di farlo. Ma cercherò di essere ancora più chiara e più precisa.
Partiamo dall’inizio.
Con legge n. 94/2009 l’allora Ministero delle Pari Opportunità Carfagna modificava l’art. 275 co.3 c.p.p., introducendo l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere per chi fosse indagato, tra gli altri, anche per il reato di violenza sessuale.
Si trattò della classica modifica legislativa raccogli-consensi: come già commentato qui, era infatti solo un “palliativo” capace di “sedare l’opinione pubblica” a fronte dell’incapacità da parte delle Istituzioni di garantire adeguata protezione alle vittime donne e minori che scelgono di denunciare situazioni di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e prostituzione minorile.
Ma ai giuristi era evidente da subito che quella disposizione era microscopicamente incostituzionale.
Perché?

 

Posted in pensieri sparsi, primo piano.