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United for global change, let’s rise up!

Oggi siamo a Roma. Abbiamo deciso di esserci e di aderire (LEGGI il pdf dell’adesione) come Comitato insieme ad altri comitati snoq della rete regionale, su una posizione differente rispetto a quella del Comitato promotore, perché pensiamo che sia dalla compenetrazione di lotte differenti che si stabiliscono i presupposti per una forte consapevolezza e cambiamento sociale e vediamo in questo senso la contaminazione con una politica di genere, femminista, delle rivendicazione del coordinamento del 15 ottobre.

Siamo convint* che esista un’alternativa a questo sistema e lo vogliamo dire forte in piazza, in tutte le 951 piazze, come lo diciamo nei nostri equilibrismi quotidiani mentre cerchiamo di non annichilirci in una crisi che rende precaria l’esistenza tout-court.

Da un lato i tagli alla spesa pubblica, le contrazioni dei diritti, la privatizzazione dei servizi e dei beni, un clima di austerità imposta, dove l’ammortizzatore sociale che rimane sono donne e uomini stess*, usat* come molle per assorbire gli urti di un mercato fluttuante, dall’altro una insidiosa precarietà che si ripropone nella ricattabilità cui siamo sottopost* come soggetti sfruttati e che ci norma continuamente, traslandosi dal lavoro alla vita extralavorativa perché il ricatto è esportabile, e che è un ostacolo esterno e ad un certo punto interiorizzato nel trattenere spazi di libera espressione della nostra individualità e differenza, che è maggiore per i soggetti socialmente più deboli in una società sessista, omofoba e razzista quale è quella in cui viviamo: le donne, le ed i migranti, i e le LGBTQI, i e le sex-workers.

Siamo costrett* in ritmi di vita che assumono la velocità di catene di produzione e viviamo male in un sistema dove arrivare alla fine di ogni giorno è una sottrazione, di energie e risorse prima ancora che della qualità del vivere. Siamo inquinat* dalla competitività -che è la base del sistema economico e lavorativo attuale e condiziona in modo trasversale le nostre relazioni con rancori, invidie e gelosie- e dalla frustrazione, perché il bagaglio culturale e professionale che ci siamo costruit* è inutile o addirittura ingombrante per i lavori che non sono pertinenti alle nostre professionalità, mentre sono apprezzati ma gratuiti negli stage che ci “offrono” con una generosità stucchevole, come se fosse un privilegio quello di svendere la propria preparazione.

E’ una vita instabile, perché diventa arduo- se non impossibile- pianificare tempi medi, all’insegna di un programmare alla giornata che non abbiamo scelto, perché del futuro l’unica certezza è l’ansia di riuscire gestire tutto, di non ammalarsi, di prendersi cura degli affetti in assenza di una rete che garantisca mutualità e assistenza e che ha una portata transgenerazionale perché colpisce tanto le ed i giovani quanto le e gli anziani e donne e uomini di mezza età, che escono da una vita lavorativa per rientrarne a pieno titolo con il lavoro di cura e mantenimento. Carico di lavoro che sono più frequentemente le donne a sobbarcarsi, donne pensionate e migranti.

Nonostante tutto questo, riusciamo a ritagliare spazi di pensiero autonomo che ci permettono un’elaborazione collettiva di un modello altro e un percorso di uscita dalla crisi, perché siamo protagonist* del cambiamento e lo siamo ogni giorno, con ogni metro di diritto e di visibilità conquistato e difeso a fatica: una realtà di fatto che sopravvive e- nella sua stessa lotta per non scomparire, per difendere la libertà ed il meticciamento di quello spazio liberato- afferma che questa è la crisi di un sistema che vogliamo cambiare unit* su scala globale.

Let’s rise up!

Posted in pensieri sparsi, primo piano.


Un luminoso presidio- Noi non vogliamo abituarci!

Contributo del Collettivo Grif

Non vogliamo abituarci!

Non sono morte cinque donne. Ne sono morte di più. Ne muoiono sempre di più.

Il lavoro non nobilita l’uomo (tanto meno la donna), il lavoro non rende liber*, il lavoro UCCIDE!

La tragedia di Barletta, in cui hanno perso la vita cinque donne, Tina, Matilde, Giovanna, Antonella e Maria, quattro di loro operaie lavoratrici in nero e sottopagate, non dovrebbe stupirci.

Dovremmo essere assuefate, abituate alle notizie di morti e infortuni sul lavoro, dovremmo esserlo del definirci precarie, sans papier, del sentirci descrivere come coloro che vivono “per progetti”, progetti a breve termine, continuamente ricalibrati e rinegoziati con quelle oscillazioni che ci spingono da un lato o dall’altro del filo su cui, non senza fatica, ci muoviamo.

Dovremmo esserlo di quel meccanismo che ci tira dentro al lavoro per poi espellerci, vive o morte, al momento buono, come se il nostro biglietto per quella corsa fosse scaduto.

Dovremmo essere abituate a quelle parole d’ordine che usiamo o vengono usate per descriverci; parole d’ordine dal forte contenuto politico ma che ormai poco lasciano al nostro immaginario.

Si sa, la continua esposizione ad una variabile, un termine, un’immagine, una storia o un pericolo ce la rende familiare.

O forse noforse vogliamo utilizzare quella variabile, termine, immagine, storia o pericolo per non abituarci, per capirne i meccanismi, per ricordarci che dobbiamo costruirci ancora, sulle macerie di un palazzo crollato o di un’impastatrice che ci ha risucchiate, uno spazio, un immaginario che non è mai completo e che deve rappresentarci e tutelarci TUTT*.

Per capire che, per quanto insidiosi, dobbiamo ancora lottare per i diritti, quelli vecchi e quelli nuovi, quelli che abbiamo voluto e quelli che vorremo come soggetti nomadi, migranti, precari, transessuali, omosessuali. Come soggetti che urlano il loro diritto a un’esistenza, a un riconoscimento, a una dignità che non può essere stabilita tramite leggi di mercato o di cittadinanza.

In fondo, non dobbiamo abituarci.

 

Collettivo LeGrif

legrif_group@yahoo.it

Posted in pensieri sparsi, primo piano.


Un luminoso presidio- Donne, precarie, murate vive

Da femminismo a sud

Update: i loro nomi, Tina Ceci, 37 anni. Matilde Doronzo, 32. Giovanna Sardaro, 30 anni. Antonella Zaza, 36. E Maria Cinquepalmi, 14 anni. Queste sono le donne morte nella strage annunciata. Le adulte lavoravano in nero per 4 euro l’ora.

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Noi per esempio stragi del genere le inseriremmo nella lista dei femminicidi perché sono crimini nei confronti di lavoratrici deboli e ricattabili che in quanto tali accettano di stare nascoste negli scantinati perché non si sappia quante sono e cosa stanno facendo.

Ce l’avevano un contratto regolare? Quelle che sono morte ammazzate, dico. Ce l’avevano o no? I parenti ci dicono di no e ci dicono che lavoravano in nero per 4 schifosissime euro l’ora. Quella ditta ce l’aveva il permesso per stare in quella stamberga? Non sarebbe obbligatorio per i luoghi di lavoro averci una serie di norme per la sicurezza da rispettare? E se ci fosse stato un incendio? Come potevano uscire quelle povere anime da là sotto? Quanti anni avevano? Erano in quell’età che ti costringe a stare fuori dal mercato del lavoro, destinate nei sotterranei per arrivare a morte certa? Lo capite o no che tra quelle donne poteva starci chiunque tra noi? Chiunque tra le tante precarie che combattono ogni giorno in Italia?

Intrappolate come topi e non servono le parole di commiato e tutta l’indignazione che si può spendere adesso perché in Italia c’è un sommerso di lavoro infame che recupera persone ricattabili e le tratta da bestie.

A prescindere da tutto, dall’illogica capacità di certi enti di ignorare le segnalazioni per non farsi carico di cose che costano responsabilità, come già fu per la casa dello studente dell’Aquila o per la scuola elementare delle marche, com’è per mille luoghi strutturalmente fragili che pure ci abitiamo e lavoriamo, a parte tutto questo, dico, c’è il fatto che a morire sono sempre gli ultimi e le ultime.

Ne sono morte cinque, infine, e noi speravamo di no, invece, e ci dispiace che sui giornali si taccia sulle dipendenti e si sottolinei in mille modi che a morire c’era pure la figlia quattordicenne dei titolari che era passata a trovarli, ché forse la pietà può fermare i pensieri, le critiche e le riflessioni? Ci spiace, moltissimo, e comprendiamo e rispettiamo il dolore, ci spiace davvero, come ci è dispiaciuto per il figlio del sindaco del paese in cui crollò la scuola elementare ma averci un figlio tra le vittime non ci esonera dalle responsabilità, anzi le amplifica e ce le ributta sotto il naso ché non ci sono giustificazioni per cose del genere. E quella responsabilità va sicuramente ripartita e bisogna parlarne se non si vuole che accada ancora.

Ci sono quelli che per spuntarla con le tasse e tutto il resto e per guadagnare sul lavoro altrui aprono una ditta in un sotterraneo e poi prendono personale in nero e poi ci sono quelli che saltano controlli e quelli che sfruttano l’indotto per subappaltare lavori e mi ricordo dei racconti di Saviano in Gomorra mentre diceva di quelle persone che stavano nascoste a cucire gli abiti della grandi marche italiane per pochi euri l’uno. Abiti che poi li rivedevi nelle sfilate per gli oscar indossati dalle grandi attrici.

Non servono le parole di commiato, serve strappare le donne dalle condizioni di ricattabilità. Le donne e gli immigrati che sono l’altra grandissima categoria debole. Questi sono crimini che vanno addebitati a chi ha organizzato il lavoro in quel modo e a chi continua a pensare una organizzazione sociale che rimanda le donne negli scantinati e in luoghi pericolosi e bui dai quali è impossibile uscire in caso di “tragedia annunciata” come questa.

Queste giornate sono da ricordare, come il primo maggio o l’otto marzo, come tutte quelle giornate di resistenza attiva in cui ci sono persone, donne, cadute sul campo di battaglia mentre tentavano di racimolare qualcosa per portare il pane in casa.

La precarietà uccide. L’irresponsabilità idem. Ed è ora che tutti si assumano le proprie responsabilità. Vogliamo i nomi delle donne che sono morte ammazzate. Vogliamo le loro facce, le loro storie, vogliamo ricordarle e sapere chi erano e perché erano costrette a stare in quel posto terribile. Vogliamo toccarlo con mano il dolore e lasciarci ferire perché siamo già ferite e non ne possiamo più di vedere le donne morire una dopo l’altra, per un motivo o per un altro.

Buonanotte sorelle. Fate un buon sonno e riposate finalmente. Assieme ai vostri cari ci siamo anche noi a piangervi e ci rincontreremo un giorno, nel paradiso delle precarie resistenti che hanno lottato fino all’ultimo e che sono morte lottando per la propria sopravvivenza. Noi verremo a manifestare e ad abbattere muri. Senz’altro porteremo uno striscione con i vostri nomi e vi abbracciamo, una ad una. Tutte.

Posted in 8 marzo, primo piano.


Un luminoso presidio- La vita è il costo del tuo lavoro.

Da zeroviolenzadonne.it e snoq un articolo di Edoardo Nesi pubblicato sul Corriere dell sera in data 4 ottobre 2011.

Il costo del tuo lavoro è la vita. La tua vita. Sei un’operaia e vai ogni giorno a lavorare in uno scantinato. Lo scantinato è un opificio. Una maglieria. Tu confezioni maglie. Un giorno cominci a sentire strani rumori che non hai mai sentito prima. Sono come dei gemiti, degli scricchiolii. Non vengono dalla strada vicina, o dalle macchine davanti alle quali lavori. Vengono dalle mura del palazzo. Ti chiedi cosa possano voler dire. Non puoi accettare che siano ciò che pensi. Ti dici che forse è normale sentire degli scricchiolii, in un palazzo così vecchio. E continui ad andare a lavorare. Ogni giorno. Ti chiedi se non dovresti parlarne con qualcuno. Coi sindacati, coi vigili. Con la polizia. Coi carabinieri. Ma non lo fai. Ti scordi di farlo. Preferisci scordarti di farlo, forse. Ogni giorno vai avanti, e torni lì, a lavorare. Perché devi. Devi pagare la spesa, i vestiti dei bambini, il mutuo. Continui a lavorare. È quello che fai, che hai sempre fatto. Lavori sepolta in uno scantinato per combattere la concorrenza di altri disgraziati come te. Sei impegnata in una competizione crudele con altri lavoratori che lavorano in altre fabbriche, in tutto il mondo. Fabbriche probabilmente più sicure dello scantinato in cui lavori tu. Ma non importa. Devi lavorare e lavorerai. Non credi davvero possibile che un palazzo possa cadere. E poi, proprio su di te. Ti dici che queste cose è molto difficile che succedano. Che non succederà proprio a te.
Il costo del tuo lavoro è la tua vita, ragazza mia. E non dovrebbe essere così. Non è giusto che sia così. Non quando con il tuo lavoro stai producendo parte dell’eccellenza mondiale. Il Made in Italy. Perché non importa quale sia la qualità delle maglie che produci. È merce fatta in Italia. Ha un valore misurabile, e lo si applica a ogni straccio e a ogni accessorio che venga prodotto nel nostro Paese. Da chiunque. Decine e decine di migliaia di cinesi sono venuti e continuano a venire a lavorare in Italia, chiusi in scantinati come il tuo, per poter produrre merce Made in Italy. Sei parte di una catena di lavoro che un tempo era una cosa gloriosa, ragazza mia, l’orgoglio e il vanto della nostra nazione, e oggi invece non ha più alcun senso. Ricordalo, e salvati.

Posted in 8 marzo, primo piano.


Un luminoso presidio- Sono precaria e sono sfruttata e sono viva!

Dal blog Meno e Pausa.

Buona lettura!

In questi giorni sono turbata, arrabbiata, non so. Provo tanti di quei sentimenti, anche contrastanti tra loro, e sono qui a bocca aperta, come probabilmente tante/i tra voi, ad ascoltare bugie, parole piene di retorica, considerazioni stravaganti sulla morte delle donne di Barletta che lavoravano forse in nero a 4 euro l’ora per chissà quante ore al giorno. Ho guardato i loro volti, cercato inutilmente di approfondire le loro storie, tentato di razionalizzare ma quello che è forte, fortissimo, e che non riesco a contenere è la rabbia e il pianto.

E’ una cosa che mi tocca, anzi ci tocca troppo da vicino. E’ la mia vita, la nostra vita, la vita di tante di noi.

Stringo i pugni e piango e urlo di rabbia pensando alle mille volte in cui sono uscita all’alba per lavori infimi, accettati per mantenermi e mantenere mia figlia, ricattata e ricattabile, con le pezze al culo e l’ironia come unica arma a sorreggermi mentre tutto attorno a me cadeva a pezzi.

Che sfida che è stata aprire il frigorifero e trovarlo quasi vuoto e inventarmi ricette squisite per insegnare a mia figlia i sapori e gli odori. Rinviare di qualche giorno il pagamento dell’affitto senza mai farmi molestare dal padrone di casa di turno. Correre a pagare le bollette perché non mi staccassero anche l’aria. Faticare a tutte le ore e mettere in mano alla bambina il gioco più vecchio del mondo per farla sentire amata. Un po’ di farina e l’acqua e impasta, cuore mio, gettala per terra, colorami la faccia, facciamo finta che sia crema, sabbia, è un gioco e ci divertiamo così.

Mattino presto, mano nella mano, accompagnarla a scuola e vedere la maestra che valutava l’abito e poi serviva il diario e lo zainetto di quella marca e non andava bene quello che le avevo ricucito io, di notte, bucandomi le mani perché non c’era l’ago giusto. E poi la macchina che si fermava per strada perché le precarie non possono permettersi mezzi decenti e allora quando pioveva mi serviva a non farla bagnare, mia figlia, e aveva il motore che ruttava bestemmie, la marmitta rumorosa e il sedile che si ribaltava quando meno te lo aspettavi. E tutto diventava motivo per farla ridere, quella creatura che mi faceva intera e mi faceva sentire la donna più bella del mondo.

Che pena lavorare al ristorante dove non ti pagano l’infortunio neppure se ti spezzi un braccio e poi sentire il tizio che ti tasta perché pensa che sia una cosa compresa nell’accordo. E le stanze umide dove un tale mi faceva restare a fare una sorta di contabilità e l’altro tizio che mi pagò la metà della metà di quello che avevamo pattuito dopo che per mesi avevo fatto sollevamento pesi con le scatole nel suo magazzino e poi le parole cattive di certi datori di lavoro che anzi avrei dovuto ringraziarli perchè mi tenevano e mi facevano pesare tutto e io ingoiavo merda per tenermi i lavori mentre il sangue ribolliva nelle vene e perdevo certo il senso di quello che stavo facendo. Lo perdevo, si, perché ti perdi ad un certo punto ed è una guerra fatta di fatica e cadute e sacrifici e mille perchè senza una risposta.

E poi la gente compiacente, l’omertà e i tanti “ma si sa che va così, che ti lamenti, non sei mica l’unica? e apposta io lo dico. Non sono mica l’unica e non è per piagnucolare  ma cazzo allora ribelliamoci tutte/i assieme. Perché voi state in silenzio e non dite niente? Perché siamo costrette ad accettare lavori di merda? Perché siamo costrette a morire poco a poco, giorno dopo giorno, o in un attimo come è successo a quelle donne di Barletta?

Perché siamo costrette a farci umiliare a sentire ministri che ci chiamano “l’italia peggiore”, oltre la fatica il dileggio, il disprezzo, con tanta retorica e tante bugie, “che non esistono più le donne di una volta” e invece si che esistono brutti cazzoni che non siete altro. Siamo noi le donne di una volta e siamo anche più stanche perché ci svegliamo tutti i giorni e non ci lasciamo morire, noi, siamo vive, arrabbiate ed è questo che vi dà fastidio, perché vogliamo un futuro per noi e le nostre figlie e i nostri figli.

Perché vogliamo vedere il sole e poi goderne. E ancora mi ricordo del disprezzo e dei tanti datori di lavoro che si permettono perfino di farti le radiografie inguinali per vedere come sei fatta dentro e fuori ché le schiave le vogliono subordinate e pure gradevoli. E se dici che hai studiato e che comunque meriteresti un lavoro pagato in modo equo, con un contratto regolare e orari che siano umani, ti dicono che sei una lagna e che se fossi una che vale ti metteresti a lavare le scale, a spezzarti la schiena a prenderti cura dei vecchi, a fare quelle cose per cui noi femmine siamo destinate, secondo loro.

E lo vorrei dire a quei ministri che non si capisce quali meriti abbiano ché devono andarci loro a fare tutti i lavori dignitosi e umili che ho fatto io e poi devono spiegarmi perché loro intascano una pensione di migliaia di euro solo appena dopo una legislatura e io invece una pensione non l’avrò mai.

Ci devono spiegare, i ministri, perché continuano a togliere sanzioni alle aziende che non rispettano le norme di sicurezza, ché me ne frega un accidente che delocalizzano perché se il loro criterio è che deve essergli consentito di ammazzare dipendenti qui o altrimenti lo faranno altrove, dove glielo permettono, allora dovrebbero andare tutti in galera, loro, perché sono criminali, ne più e ne meno che questo.

Cosa ne sanno loro di quanto sangue amaro circola nelle nostre vene e di quanta sofferenza e poi si permettono anche di giudicarci, di farci la morale, ché oltre ad essere schiave dobbiamo anche essere sante, pudiche, vestite quasi da suore così da farci sentire ancora in colpa, e poi, sapete che c’é? Che mi sono davvero stancata di fare quella che non dice niente, che in effetti io ho sempre detto tanto ma un po’ avevo paura di giocarmi il poco terreno che avevo sotto i piedi.

Ora me ne frego. Quel terreno non c’è e sono io che volo per tenermi sospesa in una situazione di precarietà che se ci penso mi toglie il fiato. Invece sono qui e combatto e non mi faccio seppellire viva da gente che vorrebbe rinchiuderci tutte in uno scantinato.

Quelle donne sono morte e io, noi, siamo ancora vive. Forse è il momento di smettere di restare in silenzio e di arrabbiarci. Sul serio. Comincio con il mettere un cartello alla mia finestra: “Sono precaria e sfruttata e voglio restare viva!”. Fatelo anche voi.

Posted in 8 marzo, primo piano.


Un luminoso presidio

Ieri sera (13 ottobre 2011) ci siamo trovat* in Logge dei Banchi per un presidio sit-in in segno di lutto e solidarietà per le compagne Tina, Matilde, Giovanna, Antonella e Maria uccise a Barletta dal lavoro.

Ognun* di noi ha acceso un lumino come simbolo della nostra presenza e della nostra resistenza, perché siamo stanch* di dover scendere negli scantinati dei palazzi e di essere costrett* all’invisibilità: senza diritti, senza contratti, senza solidarietà sociale.

Il presidio non è stata soltanto una commemorazione, ma anche un momento per dire e dirci collettivamente che siamo viv* e che non vogliamo più lavorare a qualunque condizione: pensiamo che la questione del lavoro vada affrontata in un modo radicalmente diverso rispetto a quello adottato negli ultimi anni, perché non si dovrebbe morire di lavoro per mantenere un sistema politico-economico che ha come unica legge quella del mercato e ha abdicato alla sua funzione sociale per la causa del profitto. Il trinomio precariato- sfruttamento- assenza di diritti non può essere il prezzo da pagare in silenzio per poter lavorare: non è chi lavora che deve pagare un prezzo -caro quanto la vita- per il proprio lavoro. Eppure questo assurdo logico è il presupposto delle esistenze di molt* di noi.

Vogliamo che ci sia una risposta politica chiara alle nostre esigenze, che si sciolgano le contraddizioni de* governanti che si dispiacciono per le tragedie, immemori delle proprie responsabilità nel creare le condizioni perché queste si verificassero e delle manovre che hanno reso precario e ricattabile il lavoro.

Vi riportiamo sotto alcuni documenti che ci hanno fatto riflettere e che sono stati letti durante la serata ed un articolo di Pisanotizie che ha parlato del sit-in.

Buona lettura!

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A Pisa una fiaccolata per non dimenticare le donne morte a Barletta

Il sit-in, organizzata dal Comitato “Donne 13 febbraio – Se non ora quando” si terrà dalle 19.30 alle 20.30 in piazza XX settenbre

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A 10 giorni dalla tragica morte di cinque donne a Barletta Il comitato “Donne 13 febbraio- Se non ora quando”, insieme alla Camera del lavoro, sarà oggi, dalle 19.30 alle 20.30, in piazza XX Settembre (Logge dei Banchi) con un sit-in fiaccolata per esprimere lutto e solidarietà per le operaie che a Barletta hanno perso la propria vita.

E poiché Pisa è città della Luminara, il Comitato si appella a tutti coloro che non potranno essere in piazza affinché in quell’ora alle finestre delle case si accendano luci, candele e lumini ” in segno di lutto per le giovani donne , di solidarietà  alle loro famiglie e a tutti/e coloro  che, invisibili, lavorano oggi in condizioni analoghe o peggiori, per  testimoniare che un popolo grande  è con loro per riprendere in mano la lotta per il lavoro, i diritti e l’uguaglianza tutti/e”.

Un’iniziativa voluta per non dimenticare una tragedia che non può e non deve lasciare indifferenti. “Lavoravano senza diritti, senza sicurezza, senza legalità – sottolinea il comitato – Confezionavano tute e magliette per 3,95 € all’ora, moderne schiave di un’ Italia sempre più simile al Sud-Est asiatico”.

Sono passati oltre 100 anni, ricordano “le donne del 13 febbraio”, dalle prime lotte delle mondine, delle sigaraie, delle tessili, e, nonostante ciò, in Italia, le condizioni di vita e di lavoro di troppe donne sono precarie, a rischio, prive di diritti e dignità. “Sono passati oltre cento anni e il potere contrattuale, tanto faticosamente conquistato, sembra essersi sciolto come neve al sole. Non possiamo sottacere le responsabilità dell’attuale governo”.

Anche per questo motivo l’appello ad aderire alla fiaccolata si rivolge anche all’amministrazione comunale e a quella provinciale, affinché sui loro balconi si accendano le luci in segno di lutto per le morti sul lavoro.

Ad aderire anche la CGIL Toscana aderire alla fiaccolata promossa dai Comitati toscani “Se non ora quando”. È fondamentale, commenta la CGIL, è ricordare “e farci ricordare da queste donne che la strada per la democrazia non è mai finita e nulla è mai acquisito per sempre, è necessario che ognuno di noi vigili costantemente”.

Un’adesione che si allinea alla denuncia che, fatti come quelli di Barletta, non sono accadimenti casuali o fatali, ma frutto di politiche che poco fanno per combattere il lavoro nero e garantire la sicurezza sul lavoro. “In questo Paese si perde la vita per pochi euro e il governo come interviene? Taglia le risorse  destinate  agli organi  preposti ai controlli e alle attività ispettive e mantiene in vigore una normativa che anche in caso di accertamento di violazioni prevede limitate sanzioni di carattere amministrativo senza nessuna condanna penale”.

L’appuntamento dunque è alle Logge dei Banchi alle ore 19.30.

Posted in pensieri sparsi, primo piano.


Report- Assemblea alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, domenica 02/10-REPORT PISA

Pubblichiamo a seguito una serie di report che riguardano la giornata di domenica, per formarci un’opinione in merito, per chi non c’era e non ha potuto seguire i lavori assembleari.

Buona lettura!

REPORT PISA

Care tutte, vi inoltro un report parziale, ma il più possibile completo per quella che è stata la giornata di Domenica u.s. (2 ottobre 2011) a Roma, Assemblea nazionale di snoq, presso la Casa Internazionale delle Donne.

In assemblea erano presenti 100-120 donne che si rifacevano a diversi comitati territoriali, una trentina in tutto, più alcuni contributi scritti di comitati che nella ristrettezza dei tempi non erano riusciti a coordinarsi. Oltre ai comitati c’erano altre associazioni e realtà nazionali, l’UDI, la Casa internazionale delle Donne di Roma e di Torino, Arcilesbica, solo per citarne alcune.

La convocazione, fatta secondo me con una tempistica ristretta per garantire una larga partecipazione, nasceva dall’esigenza di una riflessione locale su tematiche di largo respiro, probabilmente l’intento è arrivato in maniera poco chiara perché la percezione generale era che ogni comitato parlasse più che altro della sua esperienza locale, più che sentirsi sollecitato sulla definizione di un piano di lavoro comune.

Nonostante questo molti interventi sono stati interessanti. Il lavoro sul piano locale si sta articolando in modo diverso sui vari territori, con esigenze che nascono dalla conformazione sociale e dalle esigenze dei territori stessi: sono diverse tra loro, ad esempio, le esigenze di un territorio come Bolzano, rispetto a quello di Torino. In comune però ci sono esigenze trasversali che sono emerse diffusamente. Alcune buone idee locali se trovano una rete diffusa nazionale potrebbero essere promettenti.

Il comitato promotore nella persona di Serena Sapegno ha aperto i lavori assembleari sollecitando negli interventi la risposta su due punti chiave dell’assemblea e cioè la costruzione di una piattaforma nazionale e di una giornata di mobilitazione. Centrale per il comitato promotore l’idea di governance del Paese e di uscita dalla crisi, anche se carente di un modello.

I comitati territoriali hanno risposto in merito -spesso anche divagando- in più interventi sulla tematica del welfare e delle politiche di genere.

Molto sentita la questione della rappresentanza 50:50 anche se declinata in modi differenti dai vari comitati: ho trovato positivo che sia emersa più volte la necessità che la rappresentanza sia una rappresentanza di genere e non una rappresentanza qualsivoglia.

Molti comitati però vedono nel 50:50 un rilevante passo avanti e non credo che pongano la centralità di una discussione su come oltre che su chi, cosa che trovo essere un limite.

Sul welfare non c’è un piano comune, mi sembra molto forte lo slancio europeista ma allo stesso tempo la necessità di politiche sociali, il che secondo me è una contraddizione, perché se ci si vota alla responsabilità nazionale (delle donne nei confronti della nazione, come riportato da Comencini, cosa che non mi è piaciuta molto, perché come hanno detto altre compagne noi dobbiamo essere responsabili prima di tutto verso noi stesse e verso le altre donne) è difficile riuscire anche applicare politiche sociali. O si ripiana il debito nei confronti della BCE (e le politiche sociali saltano) o si pensa ad un modello di sviluppo alternativo (sollecitato mi pare da Treviso, Udine, Prato, Pisa e ripreso in parte nella contestazione delle lettere di Trichet e Draghi da Nicoletta Dentico, del comitato promotore). secondo me c’è un margine di lavoro, ma credo che sia anche un punto dolente perché su altre tematiche il movimento snoq può essere più omogeneo, qui il rischio di frattura ideologica non è piccolo. Continued…

Posted in primo piano.


Report- Assemblea alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, domenica 02/10-REPORT SIENA

Eravamo un centinaio di donne. Si sono susseguiti 41 interventi: 25 dei comitati + 9 delle associazioni/movimenti + 7 delle donne del comitato promotore.

Oltre ai comitati SNOQ erano presenti:

  • Pina Nuzzo dell’UDI, che ha comunicato l’iniziativa “LIBERE DI LAVORARE-Il lavoro delle donne” che si terrà a Bologna il 15 Ottobre.
  • Alessandra Mancuso che ha presentato la neonata associazione di giornaliste GIULIA- Giornaliste Unite Libere Autonome.
  • Cinzia Romano di Donne e Informazione.
  • Cristina Gramolini vicepresidente di Arcilesbica Nazionale.
  • la Casa delle donne di Torino.
  • le Archeologhe che resistono.

 

Ha introdotto la giornata Serena Sapegno che, dopo aver ripercorso i passaggi fondamentali del movimento, ha confermato la sensazione percepita da molti comitati locali: la forte richiesta proveniente dall’esterno di essere presenti, di non abbandonare la scena. Questo naturalmente si associa alla particolare drammaticità del momento, per questo, ha sottolineato la Sapegno non dobbiamo farci travolgere dall’emergenza organizzando un secondo 13 febbraio. In questo momento molti soggetti si stanno mobilitando ma SNOQ deve conservare la sua autonomia e la sua specificità e questo non per essere originali ma per poter incidere maggiormente nella società. Inoltre, non deve rinunciare ad essere presente secondo le sue modalità e i suoi tempi. Rinnova l’invito a cercare le donne e a comunicare con tutte.

Dagli interventi che abbiamo ascoltato ci sembra che i comitati siano accomunati da:

  • intergenerazionalità.
  • confronto su crisi economica-welfare-lavoro-rappresentanza politica-rappresentazione (temi che accomunano tutte e sui quali siamo chiamate ad elaborare proposte entro novemnbre. Su questo torniamo più avanti).
  • tentativo di aprire un canale di comunicazione con le istituzioni del proprio territorio.

 

Importante: Il comitato di Bologna ha dato vita al suo interno ad un gruppo composto da ragazze tra i 25 e i 30 anni che lavora sul tema del lavoro dal punto di viste di genere e generazionale. Ha invitato tutti i comitati a collaborare e ad incontrarsi in autunno inoltrato a Bologna.

La proposta è stata accolta e rilanciata nelle conclusioni da Cristina Comencini, che chiede di estendere la riflessione al tema delle dirigenze, dell’impresa e della maternità (quest’ultimo punto in continuità con Siena).

 

Segnaliamo alcuni spunti provenienti dagli interventi dei comitati che pensiamo di poter raccogliere:

Comitato del Tigullio: uso dei google groups, uso degli sms per le persone che hanno difficoltà con la rete, iniziativa sulla salute delle donne e sulla farmacologia applicata alle donne.

Comitato di Verona: disseminare nella città elementi che facciano riferimento al nostro movimento. Esempio dei nani del film di Amelie.

Bolzano: spedire ai giornali locali tutto ciò che si fa di rilevante.

Udi: incontri periodici con le altre associazioni di donne.

Gi.U.Li.A.: sostenere la protesta contro la legge bavaglio (che tra l’altro ci riguarda visto che abbiamo un blog)

Udine: lavorare per il superamento del metodo di cura basato sul volontariato delle donne, nuovo modello di sviluppo basato sulla Decrescita felice, studiare i modelli del nord Europa basati sulla flessibilità ma non sulla precarietà, lavorare perché i giovani non siano disinformati e passivi.

Arcilesbica: tener presente quando ci si confronta con i partiti che in generale loro considerano le questioni di genere e sessuali marginali, anche se sfruttano la pressione e la ribellione delle donne (vedi caduta della destra a Milano), lavorare sul riconoscimento delle coppie dello stesso sesso (farne una nostra battaglia), far si che le lesbiche si sentano parte del nostro movimento piuttosto che del movimento Gay (penso a livello locale).

Napoli: lavorare per un patto tra generi, generazioni e nord/sud.

Treviso: per le prossime occasioni elettorali locali (per es provinciali se restano) decidere delle priorità non negoziabili.

Torino-Casa della Donna: sostenere le donne delle regioni Lazio, Veneto, Piemonte e Lombardia dove è in atto un violento attacco alla legge 194 tramite modifiche sostanziali della legge 405 (relativa alla sua applicazione).

Marisa Rodano (Noi Rete Donne): il suo gruppo è da tempo che sta lavorando sul tema della rappresentanza delle donne in politica e su questo tema ha proposto alcune proposte da sviluppare: la doppia preferenza obbligatoria, norme elettorali women friendly, a prescindere dal sistema elettorale di riferimento, collegi binominali, reali opportunità di elezioni per le donne prevedendo magari liste alternate, parità della presenza nei media.

Inoltre ritiene che la drammaticità della crisi sia dovuta alla fine di un modello di sviluppo, un modello maschile. Richiama l’attenzione sul continuo attacco alla dignità delle donne e soprattutto alle conquiste da loro ottenute. Propone, come l’UDI, incontri periodici tra le donne dei diversi movimenti con una agenda comune sui punti di contatto

Sintesi degli interventi delle donne del comitato promotore:

 

Francesca Izzo. La crisi del paese è legata all’esclusione mai completamente superata delle donne dalla sfera pubblica. Si percepisce l’inadeguatezza delle forze chiamate a risolvere la crisi. Necessità di estendere e radicare l’esperienza SNOQ. Necessità che le donne di assumano la responsabilità di traghettare il Paese fuori dalla crisi e non permettano di essere lasciate ancora fuori. Alla luce dello slittamento dell’età pensionabile delle donne è necessario ricontrattare il patto sociale su cui si basa il welfare all’italiana.

Elisabetta Addis: Richiama l’attenzione sulla necessità di ragionare anche del ruolo dell’Italia in Europa e sulla necessità di una selezione del personale politico per le future elezioni politiche a cui affidare un mandato di genere.

Licia Conte. Necessario aprire un canale di comunicazione con le giornaliste, non solo per capire le loro intenzioni nei confronti della rete, ma anche perché intraprendano iniziative contro la rappresentazione stereotipata e offensiva della donna. Per questo è necessario che le due organizzazioni presenti al comitato lavorino insieme.

Lunetta Savino. La nostra forza è la qualità delle relazioni tra donne. Pone l’accento sul tema del lavoro, che rappresenta un’urgenza soprattutto per le più giovani.

Titti De Salvo. Esserci, in questo momento significa prendersi cura del declino dell’Italia. Dobbiamo avanzare proposte. Non siamo una lobby che rivendica posti, piuttosto SNOQ ha capito che era necessario un patto tra tutte le donne, per questo è continuamente teso verso lo sforzo di coinvolgere tutte. Bisogna far sì che questa riscossa civica si traduca in una trasformazione politica.

Cristina Comencini. Bisogna passare dall’analisi di ciò che in Italia non va per le donne, all’assunzione della responsabilità di governo, perché è proprio l’assenza delle donne nei luoghi di decisione della politica che ha determinato la situazione attuale dell’Italia. Per far questo bisogna lavorare e mettere in campo professionalità. In tutti i comitati devono essere messi a capo dei tavoli di lavoro su welfare-rappresentazione-rappresentanza-lavoro. Bisogna evitare le frammentazioni ma sforzarsi a lavorare a partire da ciò che ci accomuna. In questo momento serve unità. Raccoglie la proposta del comitato di Bologna: fare un lavoro sistematico sui lavori delle donne, anche se il tema va allargato e oltre all’analisi del precariato e dell’assenza di lavoro per le giovani, vanno compresi anche il tema della dirigenza e della maternità.

Tutti i comitati interessati tra ottobre e novembre devono elaborare proposte su welfare-lavoro-rappresentanza-rappresentazione, non un’elencazione dei mali ma come vorremmo che l’Italia fosse governata su questi aspetti.

Solo a partire dall’elaborazione di una proposta politica delle donne si può pensare di scendere nuovamente in piazza. Si darà vita ad una nuova mobilitazione entro fine anno se avremo raccolto una serie di proposte, perché lo spirito è quello di andare in piazza non “contro”, ma “per”.

È esclusa l’idea di dar vita ad una mobilitazione prima di allora o di aderire alle manifestazioni che ci saranno ad ottobre.

Chiede alle 2 associazioni di giornaliste di lavorare soprattutto sul tema della rappresentazione e a tutti i comitati di partire dal lavoro fatto dalla Rodano sulla rappresentanza.

Il 13/2 è stato per la dignità delle donne, il 9/10 Luglio per un paese per donne, l’iniziativa di fine anno sarà per il nostro Paese

Infine a breve sarà pronto un nuovo sito che affiancherà il blog attuale, nel quale sarà possibile condividere informazioni e confrontarsi.

Ilaria e Carla

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Report- Assemblea alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, domenica 02/10-REPORT PRATO

Tutti i comitati interessati tra ottobre e novembre devono elaborare proposte su welfare-lavoro-rappresentanza-rappresentazione, non un’elencazione dei mali ma come vorremmo che l’Italia fosse governata su questi aspetti.

Dovrò parlare con  il Comitato Pratese della sintesi della riunione di Roma, comunque, una volta letta, rimane l’opinione che sia alquanto deludente, per diversi motivi.

1) Trovo giusto che si tenti di fare una riflessione sulla problematica sopra-riportata in neretto, ma i tempi di questa riflessione mi sembrano del tutto sbagliati. Inoltre una riflessione del genera ed una sintesi nazionale, comporterà dei tempi lunghissimi! Perché dire quali sono i mali è abbastanza semplice, anche dire come vorremmo questo paese è abbastanza semplice (anche se, su certi temi, ci ritroveremo a discutere all’infinito!), ma elaborare proposte di cambiamento reale è abbastanza complicato.

Detto in soldoni, noi possiamo anche dire che ci vuole un welfare migliore, che ci vogliono più asili, che ci vogliono più servizi alla persona, che ci vogliono più tutele sul lavoro per le donne, che servono più donne in politica (su questo poi ci sarebbe da discutere), ma siamo in un momento in cui, a destra (ma anche a sinistra), ti verranno a dire che non si può, perché il paese è in crisi e ci vogliono troppi soldi, mentre adesso si devono fare dei sacrifici. E noi che faremo a quel punto? Dovremo fare tutta una riflessione per spiegare il punto di vista delle donne sul fallimento di questo paese?
Inoltre abbiamo visto come è difficile raggiungere una sintesi a livello regionale, figurarsi a livello nazionale!!!!! Senza nessun passaggio intermedio!

2) questo movimento ha trovato la sua forza nei media, nella rabbia che ha moltiplicato la partecipazione e nel vuoto sociale e politico che c’è in questo paese. E adesso cosa facciamo? Ci chiudiamo nelle nostre stanze a riflettere e discutere su come vorremo questa società, senza aver contribuito minimamente a buttare giù l’esistente? Lo capisco che non si può aderire ad una manifestazione, se non si ha chiaro quello che si vuole fare in futuro, questo è formalmente corretto, ma nella pratica è suicida!
Ed il motivo è venuto fuori con chiarezza anche nella nostra riunione regionale: dobbiamo essere visibili per essere forti ed essere forti per influenzare davvero il cambiamento.
Sarò un po’ cinica, ma secondo me dovremmo cavalcare la protesta, anche se non dice nulla di assolutamente concreto, anche se non fa una proposta, questo è il momento di dire “adesso basta, tabula rasa e si ricomincia da capo”. Nella mail che c’invitava alla riunione del 2 ottobre si diceva che il sistema fin qui in essere è fallito, perlomeno questo si poteva gridare in piazza????

Il Comitato di Prato aderisce alla manifestazione del 15 ottobre: anche se il suo compito si limitasse ad informare le persone sui pullman che partono per Roma, già sarebbe un passo avanti, perché il Comitato sarebbe stato un punto di riferimento per chi ha la volontà di partecipare al cambiamento di questo paese, intanto iniziando ad indignarsi!
Vi terremo aggiornati.

Per qualsiasi altra iniziativa che venga dagli altri comitati Regionali siamo pronti a discutere insieme e a dare il nostro contributo.
Siamo pronti anche ad iniziare una riflessione sulla base delle richieste del nazionale, intanto chiariamoci su un punto: cosa s’intende per “rappresentanza-rappresentazione”?

Infine, visto che siamo tra donne e si può parlare di stati d’animo, vi dico che sono veramente delusa ed arrabbiata con il Comitato nazionale. In questo momento, il silenzio è veramente irritante!

Valentina

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In Italia donne rappresentate come oggetti sessuali

Questo che segue è il comunicato stampa di “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW” (leggi in pdf), la piattaforma di organizzazioni e singole persone impegnate nella promozione dei diritti delle donne in Italia e nel mondo.
Da http://www.giuristidemocratici.it/post/20110803125022/post_html

Buona lettura!

Comunicato di “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”, la piattaforma di organizzazioni e singole persone impegnate nella promozione dei diritti delle donne in Italia e nel mondo.
Sono parte della piattaforma: ActionAid, Arcs-Arci, BeFree, Differenza Donna, Fondazione Pangea, Fratelli dell’Uomo, Giuristi Democratici, IMED.

Il testo in inglese delle raccomandazioni ONU

La piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”: “Il Governo ascolti le raccomandazioni del Comitato ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna”

Roma, 3 agosto 2011 – In Italia le donne sono rappresentate come oggetti sessuali. Questa una delle principali critiche sollevate all’Italia dal Comitato delle Nazioni Unite che ha il compito di monitorare l’attuazione della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW) negli Stati che l’hanno ratificata.

“Ci auguriamo che il Governo ascolti le raccomandazioni del Comitato ONU”, affermano le attiviste della piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”, che hanno presentato alle Nazioni Unite un ‘Rapporto ombra’ sullo stato di attuazione della Convenzione in Italia. “La nostra Piattaforma si impegna fin d’ora a monitorare l’operato del Governo nel dare seguito alle raccomandazioni che gli sono state rivolte”.

Secondo le Nazioni Unite, in Italia persistono profondi stereotipi che hanno un impatto schiacciante sul ruolo della donna e sulle responsabilità che essa ha nella società e in famiglia. Complici le dichiarazioni pubbliche dei politici, che non fanno altro che incrementare tale profondo dislivello tra i sessi.

Tali stereotipi pongono le donne in una situazione di svantaggio, incidendo negativamente sulle scelte degli studi e della professione che esse vogliono intraprendere e diminuendo le possibilità di accesso ai “piani alti” del mercato del lavoro, della vita politica e del ‘decision-making’.

Altro capitolo è quello delle violenza contro le donne. Nonostante la nota positiva per l’adozione della legge 11/2009 che introduce il crimine di stalking, il Comitato esprime la propria preoccupazione per l’alto numero di violenze perpetrate su donne e bambine, per la mancanza di dati sulle violenze contro immigrate, Rom e Sinti e per la persistenza di attitudini socio-culturali che “condonano” la violenza domestica. In particolare, stupisce e preoccupa l’alto numero di donne uccise da partner o ex-partner, indice del fallimento dell’autorità nel suo fondamentale compito di protezione delle donne.

Ecco perché il Comitato ONU chiede al Governo di presentare entro due anni un rapporto sulle misure intraprese contro stereotipi e violenza di genere e raccomanda al nostro paese di adottare tutte le misure legali, amministrative, politiche ed educative necessarie a ridurre tali stereotipi. In particolare, le Nazioni Unite chiedono che lo Stato intervenga sulle immagini sessiste divulgate dall’industria della pubblicità e dai media, nelle quali donne e uomini sono spesso raffigurati in modo stereotipato.

Sul piano del mercato del lavoro, il Comitato rileva la costante disparità di salario e di trattamento tra uomini e donne e le scarse misure introdotte dallo Stato per conciliare vita e lavoro. In particolare, colpisce l’alto numero di madri che abbandonano il posto di lavoro dopo la nascita del figlio e la bassissima fruizione da parte dei padri italiani del congedo parentale (solo il 10%). Per questi motivi, tra le raccomandazioni fatte al Governo, si chiede che vengano introdotte urgentemente misure che incrementino il numero di donne impiegate e che portino all’abolizione sostanziale della pratica dei “dimissioni in bianco”.

Infine, il Comitato raccomanda di valorizzare e coinvolgere la società civile – e in particolare le associazioni di donne – nel cammino verso un’effettiva uguaglianza di genere nel nostro paese, attraverso consultazioni periodiche e trasparenti e la promozione di un dialogo costruttivo.

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